domenica 23 agosto 2015

Ant man


Nuova pellicola dell’universo Marvel, la quale narra le gesta di questo supereroe che indossando una tuta riesce a rimpicciolire le sue dimensioni fino a quelle di una formica.
La trama è classica: il cattivone di turno ha creato un costume per scopi militari rubando l’idea al suo mentore (il quale aveva creato un costume similare anni addietro). Quest’ultimo per sconfiggere il brutto cattivo monello fa indossare il costume ad un uomo con problemi famigliari e di giustizia (dato che era stato in carcere per furto, divorziato dalla moglie e con la figlia che riesce a vederla poco e male… Un po’ la storia del padre divorziato italiano medio).
Oltre agli addestramenti e agli scontri a base di effetti speciali, si dipanano le sottotrame strappalacrime-fazzoletto alla mano tra l’uomo/ant man e il suo desiderio di dimostrare alla figlioletta di essere un brav’uomo e pure figo, tra il mentore e il suo pupillo/cattivone e tra il mentore e sua figlia (Evangeline Lilly, quella di Lost, più topa che mai in questo film).
Come ogni film Marvel che si rispetti, abbondano gli effetti speciali e i ritmi serrati con zero momenti di noia.
Non possono mancare neppure le gag che tanto fanno sorridere nerd e non (me ne sono piaciuti un paio in cui si fa riferimento ad altri film Marvel… Questa modalità continuity da fumetto seriale nei film mi convince sempre più). Ma abbondano anche le frasi ad effetto che lasciano il segno (sia per quanto riguarda quelle drammatiche che quelle ‘epiche’ da ‘andiamo in battaglia e spacchiamo il culo a tutti’).
Il cattivone l’ho visto un po’ poco cattivo (ma aimè se lo vado a paragonare a Joker o a Utron, è come sparare sulla croce rossa: non c’è paragone) ma tutto sommato regge la scena.
Personalmente l’ho trovato qualitativamente un pelo più basso rispetto ad altri film (in primis gli Avengers e i Guardiani della galassia) e ho trovato qualche gag di troppo (problema riscontrato anche in Avergers 2) specialmente quando sono gettate a cazzo in certe scene che richiedono un minimo di drammaticità (ma che ci volete fare? La Marvel ormai è della Disney: tra un po’ troveremo Thor a combattere contro Paperino e Iron Man/Tony Stark a letto con Topolina).
Disney ci avrà messo anche lo zampino nello scontro finale che per quanto in certi momenti mi ha strappato un sorriso, in altri mi ha fatto pensare che ‘cazzo dovrebbe essere un film di supereroi! Manteniamo un certo decoro’).
Ci contro, gli effetti speciali dominano incontrastati come sempre in questo genere e il film scorre che è un piacere. Mi è piaciuto anche l’incontro con un personaggio ‘inaspettato’ (niente spoiler, lo giuro) anche se ad un tratto mi ha fatto sperare anche in un intervento di altri (lì sarebbe stato il non plus ultra) ma era sperare troppo!
E il cameo di Stan Lee??? Me lo sono chiesto fino alla fine… C’è c’è, tranquilli.
Senza contare le due (e sottolineo due) scene di chiusura (la seconda non l’avrei mai capita se non avessi cercato su internet la ‘traduzione’).
In definitiva, un film che non raggiunge i livelli di Avengers 2 (ma credo che quelli siano irraggiungibili) sia come effetti speciali che come spessore dei personaggi coinvolgi (e voi mi direte:’E grazie al cazzo E ci mancherebbe: stiamo paragonando il top dei supereroi Marvel riuniti con un supereroe mignon!’) ma resta un film godibilissimo, ottimo per una serata al cinema scacciapensieri con tutti i requisiti che ci si aspetta da un film d’azione.
Ovvio, se andate a vederlo con l’aspettativa di un film drammatico ‘alla batman’ resterete delusi. Ma se invece lo fate con l’idea di godervi un bel film di scazzottate, effetti speciali e supereroi, è il film che fa per voi.

 
Ps
Comunicazione di servizio
Oh, voi che portate i figlioletti al cinema… Lo capisco che sono bambini e si comportano come tali… Ma PER DIO!, se la sala è mezza vuota ci si aspetta almeno che ci si possa godere una volta tanto un film in santa pace. Avere come sotto fondo un bambino che grida ‘Oh, che belle le formichine ih ih ih’ ci può stare una volta, ma se rompe i coglioni tutto il tempo, no dai.
È nella natura di un bambino fare il bambino… Ma è nella natura di un adulto educarlo. Ed educazione vuol dire innanzitutto non rompere i coglioni alle altre persone!
Ma d’altro canto, cosa ci si può aspettare da genitori quali la mamma che si mette ad un tratto a raccontare all’amica dello shopping che ha fatto il giorno prima? E allora… Beh, andate a fare in culo tutti, dai!
Se volete raccontarvi i cazzi vostri, fatelo in privato e soprattutto in un contesto più idoneo!
Vi ricordo che si dice:‘Andare a vedere un film’. Non ‘Andare a vedere un film con sottofondo di cagacazzi’.
Che se voi avete voglia di buttare 9€ per stare in sala a chiacchierare sono fatti vostri. Ma permettete che io voglia spendere i soldi solo ed unicamente per gustarmi il film in santa pace?
Grazie.

martedì 18 agosto 2015

'Le streghe son tornate' di De la Iglesia


Sarebbe stato uno di quei film che metto come ‘sottofondo audio-video’ mentre faccio altre cose, di quelli che seguo per venti minuti e poi cambio perché disgustato dalla (bassissima, metropolitanica) qualità della trama. Invece mi sono ricreduto.
La prima scena spacca: un furto ad una gioielleria ad opera di un gruppo di mimi della strada con annesso bambino di uno di essi. È azione paradossale pura, di quella che ti aspetti da un film americano. Non certo da uno spagnolo.
Poi c’è la fuga. E da qui la storia prende una svolta da thriller splatter che può o meno piacere.
Diciamo che l’inizio fa sperare il un film capolavoro imprevedibile ed inaspettato, anche se poi si perde un po’ in una fusione di generi che a tratti lascia perplessi. Ciò non toglie che questo è anche un punto di forza perché è un continuo trovarsi di fronte ad un cambio di direzione della trama.
Ci sono varie chiavi di lettura, da quella più superficiale del film grottesco che fa divertire a quella più profonda rappresentata dallo scontro tra sessi, tra personalità forti e sottomesse.
Un film che rappresenta la realtà in modo crudo, a tratti paradossali ma pur sempre concreta.
Certo, certe scene sono un po’ troppo bizzarre (la donna ‘gigante’ è veramente di un grottesco assurdo, tanto da farmi grattare la testa pelata con evidente perplessità) ma tutto sommato sono funzionali alla storia e non rovinano più di tanto l’atmosfera generale (anzi, danno quel tocco di ridicolo in più che non fa mai male).
Ma quindi è un film che spacca?
Mah.
Se fosse stato tutto sulla spettacolarità dell’inizio lo sarebbe stato.
Ma poi si perde un po’ troppo per strada.
O meglio, è la prima scena che è troppo paradossale, facendo passare in secondo piano il resto del film.
In definitiva, non è uno di quei film che metterei nella mia top ten dei preferiti. Ma non lo getterei neppure nel bidone della spazzatura (anche perché ormai straripa di tutti i film dei Vanzina…).
Ergo, consiglio la visione a tutti, sia per coloro che vogliono passare una serata guardando un film old-splatter-style sia per chi vuole cercare un nuovo punto di vista sulla guerra di sessi.

venerdì 7 agosto 2015

Sex movie in 4D


C’era un tempo in cui certi film adolescenziali che parlavano dei loro primi tumulti ormonali hanno fatto storia (primo fra tutti ‘American Pie’).
Poi sono venuti gli altri, che hanno tentato di cavalcarne l’onda convinti che bastasse parlare di tette-culo-pisello problemi sessual-adolescenziali per strappare un sorriso e un voto positivo. Ci provavano anche mettendo della belle ragazze tassativamente tette al vento per alzare … l’entusiasmo.
Ma non ci sono cavoli: se non c’è la sostanza, puoi mettere anche un vagone pieno di patate in bella mostra, dalla più sottile alla più carnosa, da quella più cespugliosa a quella più potata che tanto il ragazzo/uomo medio, dopo il primo entusiasmo da guardone giustificato, passa a modalità noia esponenziale.
‘Sex movie’ rientra in questa categoria: c’è il solito ragazzo sfigato verginello che pensa solo ad una cosa (e non stiamo parlando della playstation), l’amica di cui è innamorato ma che non lo fila manco di striscio, l’amico che (pur essendo sfigatissimo) usando tecniche d’abbordaggio (che solo in un film potrebbero funzionare: nella realtà sarebbero raffiche di due di picche e schiaffi) così raffinate (…) che tromba più di un giocatore di serie A e infine una ragazza vogliosa ma lontana pronta a rendere l’insverginabile finalmente un uomo.
Una storia trita e ritrita, già vista mille volte, che però può distinguersi dalla massa grazie a dei personaggi riusciti, delle battute d’impatto, un evolversi della storia inaspettato ed accattivante, scene epiche e stra-comiche. Peccato che non ha nulla di tutto ciò.
Ci prova, gliene do atto. Ma fallisce.
Non fa ridere, non fa provare emozione, non coinvolge (ci si immedesima di più nella macchina del protagonista che non negli attori… E ho detto tutto), non dice nulla di che. Un film piatto che tenta di guadagnare punti con qualche episodio politicamente corretto, con il lieto fine che non può mancare (cazzo mai una volta che si conclude con un quasi lieto fine: tutti sono felici e contenti, tutti a sbaciucchiare la propria amata quando ecco che cade una bomba e riduce tutti a polvere da bucato… Quella sì che sarebbe una fine degna di nota!).
In definitiva, un film uscito nel 2008 e che ho avuto il (dis)piacere di vedere solo adesso e che non mi ha arricchito neanche un po’. Passerà nel dimenticatoio in 3-2-1-0.


Emh… Di cosa stavo parlando??
Ieri ho visto un film? Ma va?

martedì 28 luglio 2015

Tomorrowland

 
Dal trailer sembra un buon film di fantascienza con effetti speciale a iosa e azione a raffica.
Lo è veramente?
A guardare i primi minuti sembra più una colossale puttanata un classico film per ragazzini. Quando Clooney spiega la condizione del mondo con una voce femminile che scartavetra i suoi (e i nostri) maroni lo interrompe continuamente si ha solo voglia di prendere ed andarsene: questa imbarazzante sequenza è così fastidiosa da spingere a rivalutare in positivo i cinepanettoni italiani (e ho detto tutto).
Per fortuna poi recupera, con scontri a suon di armi fantascientifiche, città futuristiche da sogno e un continuo susseguirsi di azioni e colpi di scena.
Sarà perché io sono sensibile a certe tematiche ( ovvero quel ‘salviamo il mondo prima che sia troppo tardi, coglioni!’) cosicché il film recupera punti. Senza contare che se visto staccando la mente critica e razionale che grida alle incoerenze logiche presenti (un po’ come quando ci si appresta a guardare ‘avengers’) può anche piacere.
Eppure non so, c’è quell’atmosfera fanciullesca di sottofondo che non permette di apprezzarlo appieno. È come se sopra la fantascienza, gli effetti speciali, le botte da orbi e le frasi ad effetto ci sia sempre Topolino che ti strizza l’occhio, che ti saluta col suo guanto anti-malattie veneree.
Forse è questo che penalizza di più, il fatto che abbiano fatto un film per ragazzini pur cercando di accaparrarsi anche il pubblico adulto, tirando fuori però un ibrido che non soddisfa ne una fascia d’età ne l’altra (certi passaggi sono troppo complicati per dei bambini mentre certe leggerezze e scambi pseudo-comici (vedi il famoso inizio, bbrrrrrr) vanno a tratti cadere a picco l’interesse, l’entusiasmo e anche i maroni).
Certo, si resta piacevolmente meravigliati della città ‘del futuro’, le scene d’azioni tengono alta l’attenzione e certi dialoghi apocalittici-save the world danno una marcia in più alla storia… Ma poi ci sono quelle scenette alla bimbo-minkia che tagliano le gambe allo spettatore.
Ciò non toglie, lo ammetto, che come film è migliore di tanti altri visti ultimamente.
Ergo, non è uno di quelli che consiglierei di andare a vedere al cinema, soprattutto se avete più di 11 anni. Ma una serata davanti alla tv ci può stare, dai.
Ma mettete in mute i primi 5 minuti. Vi risparmierete il tempo passato a raccogliere le vostre palle dal pavimento…

sabato 25 luglio 2015

Le infradito di Buddha – Zap Mangusta


 
L’autore non lo conosco (anche se è stato inviato de ‘Le Iene’, conduttore radiofonico e ha scritto svariati romanzi). Quindi mi sono avvicinato al libro solo con la curiosità di leggere un ennesimo manoscritto sul buddhismo in salsa romanzata.
Io, che sono ormai decenni che leggo libri sul buddhismo, sulla meditazione e sulle religioni/filosofie orientali, l’ho letto con la curiosità di chi sa (qualcosa) ma gli piace avere un punto diverso dal solito o comunque un ulteriore modo per spiegare certi concetti astratti.
Ammetto di averlo letto in due trance.
Inizialmente non mi ha convinto molto.
In quanto è scritto bene. Molto bene. Pure troppo. Tanto di cappello all’autore che usa un linguaggio forbito e da vero scrittore. Peccato che a volte usa dei termini non in auge nella dialettica comune. Questo, lo ammetto, penalizza il libro. Non che non sia scorrevole o comprensibile: semplicemente usare termini troppo ricercati, troppo ‘da dotti’, rischia di rallentare un pelo la lettura. È come andare da un contadino di inizio secolo a chiedere di indicargli la toilette… Ma chiamalo cesso e capisce subito, no? O andare da un allevatore valdostano sessantenne e parlare di jet lag, happy hour e 4G… Ma parla come mangi, per Dio!
Senza contare che si parla di filosofia orientale a 360° ma a volte in modo talmente astratto e preciso da essere di un pelo difficile da comprendere (e ne parla uno che passava le giornate a pane e buddhismo).
Chiariamo: non so se certi concetti si possa spiegare in modo più semplice. Forse no. Certo è che sono comunque difficili da digerire.
Senza contare questo suo modo di far dialogare le persona senza ‘punto e a capo’, senza separare coloro che dialogano. Con la conseguenza che è un continuo cercare di capire chi dice cosa a chi. In più la storia usa un escamotage narrativo appena appena accennato per introdurre l’avventura del protagonista, tanto da non essere neppure necessario (il protagonista viene mandato in Tibet per essere portavoce in Italia di un fatto spiacevole: i furti accaduti in svariati templi. Questo lo porta a viaggiare con altre persone in giro per le montagne, visitando templi e villaggi, cime innevate e città decadute). Non c’è per capirci, una trama portante forte, un thriller come sfondo, un susseguirsi di colpi di scena in stile ‘il codice da Vinci’, che servono da una parte a mantenere vivo l’interesse del lettore e dall’altro introdurre certi concetti. È solo un uomo che va per montagne per altri scalatori improvvisati e intanto (quasi sempre) si parla di filosofia orientale.
Senza contare la raffica di personaggi che orbitano intorno a lui: un susseguirsi di uomini e donne che sono un’ennesima trovata per introdurre certi discorsi filosofici/religioni ma che rendono il libro ancora più kilometrico ( circa 330 pagine scritte fitte).
Voi mi direte: ‘Ma allora ti ha fatto venire una diarrea lancinante ‘sto libro? Ti ha teletrasportato sul water alla seconda pagina fino ad indurti a rendere il bagno il tuo domicilio?’. ‘Ma allora non ti è piaciuto?’.
Invece mi è piaciuto.
Se andiamo oltre queste considerazioni negative, resta un libro ben scritto, che fornisce con uno stile ironico e simpatico un quadro preciso della cultura religiosa/filosofica orientale.
Spiega concetti profondi in modo più chiaro di tanti altri libri che ho letto. Fornisce informazioni che i più non sanno, dimostrando come l’autore ha una cultura approfondita e superiore alla media. Introduce gli argomenti ogni volta in modo diverso, dando un minimo di senso alla presenza di alcuni personaggi.
Si è così assorti nell’apprendere le mille sfaccettature della cultura orientale che passa in secondo piano il motivo per cui il protagonista ha intrapreso questo viaggio. Chi se ne frega se non c’è una trama intricata e complessa piena di colpi di scena: l’importante è conoscere l’evoluzione del pensiero orientale in questi secoli.
330 pagine sono tante ma si lasciano leggere decisamente meglio di tanti libri molto più corti. È un libro dove non si rincorre la fine ma solo l’imparare cose nuove (con qualche spruzzo di ironia spiccia che male non fa) e il porsi le grandi domande della vita: chi siamo? Dove andiamo? Cosa succede dopo la morte? Perché ’50 sfumature di grigio’ ha fatto così tanto successo al cinema?
Un libro che può essere visto come la risposta a ‘Il mondo di Sofia’ (che se ben ricordate, parlava di filosofia occidentale attraverso gli occhi di una bambina). Certo una risposta più adulta, più impegnata, ma non per questo meno interessante.
Un libro, insomma, che può essere letto da tutti coloro che vogliono accostarsi alle filosofie orientali, a chi vuol approfondire ciò che già sa e a chi vuole leggere un libro che parla anche di montagna, di trekking, di paesaggi mozzafiato e di belle fanciulle tibetane.
Vale il suo prezzo? Secondo me sì.
 

martedì 21 luglio 2015

Squallor – Fabri Fibra


Premetto che rap ne ascolto a iosa (come tanti altri generi, d’altronde), quindi di base mi piace, e anzi lo apprezzo più di altri generi.
Invidio la capacità dei rapper di giocare con le parole.
Però, sono anche uno che apprezza la musica orecchiabile e/o i testi impegnati ma con poesia di contorno. Diciamo che sono uno da rap melodico (si può dire? Esiste?).
Le solite canzoni cazzo-figa-canna-sonoricco-fottiti alla Club Dogo mi lasciano indifferente.
Ora, lasciando da parte le canzoni-poesie, restano quelle orecchiabili, in tile ‘Rap futuristico’.
È proprio per tal ragione che in lutto dichiaro che Squallor, dal mio punto di vista (ovvero di ascoltatore medio Sanremese pentito), non contiene né musica orecchiabile né testi profondi/poetici.
Diciamo che è un po’ un album alla Mondo Marcio (che brutta la vita, scopo ma troppo sbatti, fte le zoccole non fate le suore, città di merda, stronzo chi legge chi ascolta). E per tale motivo: bocciato.
Non che non ci siano rime interessanti e bravura in sottofondo.
Solo che non mi acchiappano. Non è il mio genere.
Senza contare che trovo una tensione, una negatività di base che a me sta stretta. Ok che tutto è uno schifo… Ma stai sereno! Che sarà pure uno schifo, ma se canti in mezzo a migliaia di persone, i fans ti adorano, giri l’Italia a fare concerti, guadagni un bel po’ di soldi e smaiali con le tue fans, forse poi tanto di merda non è la tua vita, no? Sii positivo, dai, che mica lavori in miniera 18 ore al giorno per uno stipendio da fame! Quelli sì che ne avrebbe da scrivere di canzoni strappalacrime!
Peccato perché in passato qualche sua canzone l’avevo anche salvata dall’oblio di quelle eliminate al primo ascolto dalla mia memoria.
Ma in questo album non ne ho salvato nessuna.
Continuerò ad ascoltarlo, perché la speranza è l’ultima a morire, ma le mie aspettative calano vertiginosamente.
Adesso però basta, che devo andare a lavorare in miniera… J

giovedì 9 luglio 2015

Il banco dei pugni


Direttamente da Detroid su D-max il programma più gettonato dai commessi d’Italia.
Perché? Perché è un reality ambientato in un negozio di pegni dove va ad acquistare e vendere la peggior clientela che si possa desiderare.
Ma ad affrontare i clienti c’è baffo-Les, faipocoilfigo-Seth e Missimpatia-Ashley.
8 stagioni con una media di una decina di puntate a stagione dove accade di tutto: litigi violente tra figli e padre e tra fratello e sorella, risse con clienti violenti, reazioni esagerate di clienti psicopatici e psicolabili, oggetti in vendita tra l’imbarazzante e il volgare ma soprattutto reazioni che vanno dal ‘vai a fare in culo’ al ‘adesso vengo lì e ti faccio un culo a strisce’ dei proprietari rivolte ai clienti maleducati, violenti, volgari e rissaioli.
È un reality che in America è durato 8 stagioni ma in Italia è trasmesso come se fosse una stagione unica, uno dietro l’altro a manetta, con repliche infinite. E poco importa se si salta una puntata perché la maggior parte non sono legate tra loro e quindi possono essere viste a se stanti in quanto non c’è continuity (tradotto: non è come Lost che se perdi un paio di puntate non capisci più niente).
Non è importante seguire tutte le puntate, ne rivederne una. Perché il piacere sta unicamente nel vedere le dinamiche relazionali tra i clienti che (in quanto paganti) credono di poter dire e fare ciò che vogliono e i commessi/padroni che non si fanno mettere i piedi in testa.
Il telespettatore medio non può capire perché non è nel mondo della vendita ma certi episodi visti ne ‘Il banco dei pugni’ accadono ogni giorno in un negozio. E non sto parlando di un negozio del Bronx ma in uno italiano.
Lo dice uno che lavora nella vendita da anni ormai, in una città del Nord Italia.
Scene di ordinaria follia e ignoranza si presentano davanti al commesso italiano. Scene così paradossali che ci si domanda se si è dentro ad una candid camera o se esistono veramente persone così ignoranti e maleducate.
Ecco perché in negozio da me si spera sempre di avere la pausa pranzo dalle 15, cosicché si può vedere una puntata dei propri beniamini. E quando Les o figli mandano a cagare un cliente maleducato, noi esultiamo!
‘Cazzo, potessimo mandare a cagare noi i clienti così… Ma sai che figata?!?!?’.
Perché non sono tanto gli episodi in sé che appassionano ma le reazioni dei proprietari. Ovvero, il poter mandare bellamente a cagare il cliente maleducato, oppure chiamare la guardia e sbatterlo fuori dal negozio in quanto ha esagerato con imprecazioni e minacce, o insultarlo quando alza troppo la voce, o dargli apertamente dell’imbecille quando dimostra a tutti gli effetti di esserlo. Insomma tutte cose che il commesso medio italiano non può fare al cliente, soprattutto se non è lui il proprietario del negozio ma solo un dipendente.
Ma anche per chi commesso non è, questo programma può piacere. Perché in fondo dipinge una realtà. Certo, si dice che alcune cose siano state scritte a tavolino (tipo il malore di Les o il furto in negozio o i vari licenziamenti ‘epocali’ dello staff) ma certi episodi minori, certi clienti fuori di testa, certe minacce o offese gridate dall’imbecille di turno sono realistici. O quanto meno, il commesso medio sa che accadono in un negozio. Più di quanto si vorrebbe.

 
Ps
Hanno fatto anche una parodia napoletana: www.youtube.com/watch?v=xF7EyOeW20w
E una romana: www.youtube.com/watch?v=i_6Z5AdONBg
Ma se cercate sul tubo troverete parecchie parodie spassosissime.