martedì 28 luglio 2015

Tomorrowland

 
Dal trailer sembra un buon film di fantascienza con effetti speciale a iosa e azione a raffica.
Lo è veramente?
A guardare i primi minuti sembra più una colossale puttanata un classico film per ragazzini. Quando Clooney spiega la condizione del mondo con una voce femminile che scartavetra i suoi (e i nostri) maroni lo interrompe continuamente si ha solo voglia di prendere ed andarsene: questa imbarazzante sequenza è così fastidiosa da spingere a rivalutare in positivo i cinepanettoni italiani (e ho detto tutto).
Per fortuna poi recupera, con scontri a suon di armi fantascientifiche, città futuristiche da sogno e un continuo susseguirsi di azioni e colpi di scena.
Sarà perché io sono sensibile a certe tematiche ( ovvero quel ‘salviamo il mondo prima che sia troppo tardi, coglioni!’) cosicché il film recupera punti. Senza contare che se visto staccando la mente critica e razionale che grida alle incoerenze logiche presenti (un po’ come quando ci si appresta a guardare ‘avengers’) può anche piacere.
Eppure non so, c’è quell’atmosfera fanciullesca di sottofondo che non permette di apprezzarlo appieno. È come se sopra la fantascienza, gli effetti speciali, le botte da orbi e le frasi ad effetto ci sia sempre Topolino che ti strizza l’occhio, che ti saluta col suo guanto anti-malattie veneree.
Forse è questo che penalizza di più, il fatto che abbiano fatto un film per ragazzini pur cercando di accaparrarsi anche il pubblico adulto, tirando fuori però un ibrido che non soddisfa ne una fascia d’età ne l’altra (certi passaggi sono troppo complicati per dei bambini mentre certe leggerezze e scambi pseudo-comici (vedi il famoso inizio, bbrrrrrr) vanno a tratti cadere a picco l’interesse, l’entusiasmo e anche i maroni).
Certo, si resta piacevolmente meravigliati della città ‘del futuro’, le scene d’azioni tengono alta l’attenzione e certi dialoghi apocalittici-save the world danno una marcia in più alla storia… Ma poi ci sono quelle scenette alla bimbo-minkia che tagliano le gambe allo spettatore.
Ciò non toglie, lo ammetto, che come film è migliore di tanti altri visti ultimamente.
Ergo, non è uno di quelli che consiglierei di andare a vedere al cinema, soprattutto se avete più di 11 anni. Ma una serata davanti alla tv ci può stare, dai.
Ma mettete in mute i primi 5 minuti. Vi risparmierete il tempo passato a raccogliere le vostre palle dal pavimento…

sabato 25 luglio 2015

Le infradito di Buddha – Zap Mangusta


 
L’autore non lo conosco (anche se è stato inviato de ‘Le Iene’, conduttore radiofonico e ha scritto svariati romanzi). Quindi mi sono avvicinato al libro solo con la curiosità di leggere un ennesimo manoscritto sul buddhismo in salsa romanzata.
Io, che sono ormai decenni che leggo libri sul buddhismo, sulla meditazione e sulle religioni/filosofie orientali, l’ho letto con la curiosità di chi sa (qualcosa) ma gli piace avere un punto diverso dal solito o comunque un ulteriore modo per spiegare certi concetti astratti.
Ammetto di averlo letto in due trance.
Inizialmente non mi ha convinto molto.
In quanto è scritto bene. Molto bene. Pure troppo. Tanto di cappello all’autore che usa un linguaggio forbito e da vero scrittore. Peccato che a volte usa dei termini non in auge nella dialettica comune. Questo, lo ammetto, penalizza il libro. Non che non sia scorrevole o comprensibile: semplicemente usare termini troppo ricercati, troppo ‘da dotti’, rischia di rallentare un pelo la lettura. È come andare da un contadino di inizio secolo a chiedere di indicargli la toilette… Ma chiamalo cesso e capisce subito, no? O andare da un allevatore valdostano sessantenne e parlare di jet lag, happy hour e 4G… Ma parla come mangi, per Dio!
Senza contare che si parla di filosofia orientale a 360° ma a volte in modo talmente astratto e preciso da essere di un pelo difficile da comprendere (e ne parla uno che passava le giornate a pane e buddhismo).
Chiariamo: non so se certi concetti si possa spiegare in modo più semplice. Forse no. Certo è che sono comunque difficili da digerire.
Senza contare questo suo modo di far dialogare le persona senza ‘punto e a capo’, senza separare coloro che dialogano. Con la conseguenza che è un continuo cercare di capire chi dice cosa a chi. In più la storia usa un escamotage narrativo appena appena accennato per introdurre l’avventura del protagonista, tanto da non essere neppure necessario (il protagonista viene mandato in Tibet per essere portavoce in Italia di un fatto spiacevole: i furti accaduti in svariati templi. Questo lo porta a viaggiare con altre persone in giro per le montagne, visitando templi e villaggi, cime innevate e città decadute). Non c’è per capirci, una trama portante forte, un thriller come sfondo, un susseguirsi di colpi di scena in stile ‘il codice da Vinci’, che servono da una parte a mantenere vivo l’interesse del lettore e dall’altro introdurre certi concetti. È solo un uomo che va per montagne per altri scalatori improvvisati e intanto (quasi sempre) si parla di filosofia orientale.
Senza contare la raffica di personaggi che orbitano intorno a lui: un susseguirsi di uomini e donne che sono un’ennesima trovata per introdurre certi discorsi filosofici/religioni ma che rendono il libro ancora più kilometrico ( circa 330 pagine scritte fitte).
Voi mi direte: ‘Ma allora ti ha fatto venire una diarrea lancinante ‘sto libro? Ti ha teletrasportato sul water alla seconda pagina fino ad indurti a rendere il bagno il tuo domicilio?’. ‘Ma allora non ti è piaciuto?’.
Invece mi è piaciuto.
Se andiamo oltre queste considerazioni negative, resta un libro ben scritto, che fornisce con uno stile ironico e simpatico un quadro preciso della cultura religiosa/filosofica orientale.
Spiega concetti profondi in modo più chiaro di tanti altri libri che ho letto. Fornisce informazioni che i più non sanno, dimostrando come l’autore ha una cultura approfondita e superiore alla media. Introduce gli argomenti ogni volta in modo diverso, dando un minimo di senso alla presenza di alcuni personaggi.
Si è così assorti nell’apprendere le mille sfaccettature della cultura orientale che passa in secondo piano il motivo per cui il protagonista ha intrapreso questo viaggio. Chi se ne frega se non c’è una trama intricata e complessa piena di colpi di scena: l’importante è conoscere l’evoluzione del pensiero orientale in questi secoli.
330 pagine sono tante ma si lasciano leggere decisamente meglio di tanti libri molto più corti. È un libro dove non si rincorre la fine ma solo l’imparare cose nuove (con qualche spruzzo di ironia spiccia che male non fa) e il porsi le grandi domande della vita: chi siamo? Dove andiamo? Cosa succede dopo la morte? Perché ’50 sfumature di grigio’ ha fatto così tanto successo al cinema?
Un libro che può essere visto come la risposta a ‘Il mondo di Sofia’ (che se ben ricordate, parlava di filosofia occidentale attraverso gli occhi di una bambina). Certo una risposta più adulta, più impegnata, ma non per questo meno interessante.
Un libro, insomma, che può essere letto da tutti coloro che vogliono accostarsi alle filosofie orientali, a chi vuol approfondire ciò che già sa e a chi vuole leggere un libro che parla anche di montagna, di trekking, di paesaggi mozzafiato e di belle fanciulle tibetane.
Vale il suo prezzo? Secondo me sì.
 

martedì 21 luglio 2015

Squallor – Fabri Fibra


Premetto che rap ne ascolto a iosa (come tanti altri generi, d’altronde), quindi di base mi piace, e anzi lo apprezzo più di altri generi.
Invidio la capacità dei rapper di giocare con le parole.
Però, sono anche uno che apprezza la musica orecchiabile e/o i testi impegnati ma con poesia di contorno. Diciamo che sono uno da rap melodico (si può dire? Esiste?).
Le solite canzoni cazzo-figa-canna-sonoricco-fottiti alla Club Dogo mi lasciano indifferente.
Ora, lasciando da parte le canzoni-poesie, restano quelle orecchiabili, in tile ‘Rap futuristico’.
È proprio per tal ragione che in lutto dichiaro che Squallor, dal mio punto di vista (ovvero di ascoltatore medio Sanremese pentito), non contiene né musica orecchiabile né testi profondi/poetici.
Diciamo che è un po’ un album alla Mondo Marcio (che brutta la vita, scopo ma troppo sbatti, fte le zoccole non fate le suore, città di merda, stronzo chi legge chi ascolta). E per tale motivo: bocciato.
Non che non ci siano rime interessanti e bravura in sottofondo.
Solo che non mi acchiappano. Non è il mio genere.
Senza contare che trovo una tensione, una negatività di base che a me sta stretta. Ok che tutto è uno schifo… Ma stai sereno! Che sarà pure uno schifo, ma se canti in mezzo a migliaia di persone, i fans ti adorano, giri l’Italia a fare concerti, guadagni un bel po’ di soldi e smaiali con le tue fans, forse poi tanto di merda non è la tua vita, no? Sii positivo, dai, che mica lavori in miniera 18 ore al giorno per uno stipendio da fame! Quelli sì che ne avrebbe da scrivere di canzoni strappalacrime!
Peccato perché in passato qualche sua canzone l’avevo anche salvata dall’oblio di quelle eliminate al primo ascolto dalla mia memoria.
Ma in questo album non ne ho salvato nessuna.
Continuerò ad ascoltarlo, perché la speranza è l’ultima a morire, ma le mie aspettative calano vertiginosamente.
Adesso però basta, che devo andare a lavorare in miniera… J

giovedì 9 luglio 2015

Il banco dei pugni


Direttamente da Detroid su D-max il programma più gettonato dai commessi d’Italia.
Perché? Perché è un reality ambientato in un negozio di pegni dove va ad acquistare e vendere la peggior clientela che si possa desiderare.
Ma ad affrontare i clienti c’è baffo-Les, faipocoilfigo-Seth e Missimpatia-Ashley.
8 stagioni con una media di una decina di puntate a stagione dove accade di tutto: litigi violente tra figli e padre e tra fratello e sorella, risse con clienti violenti, reazioni esagerate di clienti psicopatici e psicolabili, oggetti in vendita tra l’imbarazzante e il volgare ma soprattutto reazioni che vanno dal ‘vai a fare in culo’ al ‘adesso vengo lì e ti faccio un culo a strisce’ dei proprietari rivolte ai clienti maleducati, violenti, volgari e rissaioli.
È un reality che in America è durato 8 stagioni ma in Italia è trasmesso come se fosse una stagione unica, uno dietro l’altro a manetta, con repliche infinite. E poco importa se si salta una puntata perché la maggior parte non sono legate tra loro e quindi possono essere viste a se stanti in quanto non c’è continuity (tradotto: non è come Lost che se perdi un paio di puntate non capisci più niente).
Non è importante seguire tutte le puntate, ne rivederne una. Perché il piacere sta unicamente nel vedere le dinamiche relazionali tra i clienti che (in quanto paganti) credono di poter dire e fare ciò che vogliono e i commessi/padroni che non si fanno mettere i piedi in testa.
Il telespettatore medio non può capire perché non è nel mondo della vendita ma certi episodi visti ne ‘Il banco dei pugni’ accadono ogni giorno in un negozio. E non sto parlando di un negozio del Bronx ma in uno italiano.
Lo dice uno che lavora nella vendita da anni ormai, in una città del Nord Italia.
Scene di ordinaria follia e ignoranza si presentano davanti al commesso italiano. Scene così paradossali che ci si domanda se si è dentro ad una candid camera o se esistono veramente persone così ignoranti e maleducate.
Ecco perché in negozio da me si spera sempre di avere la pausa pranzo dalle 15, cosicché si può vedere una puntata dei propri beniamini. E quando Les o figli mandano a cagare un cliente maleducato, noi esultiamo!
‘Cazzo, potessimo mandare a cagare noi i clienti così… Ma sai che figata?!?!?’.
Perché non sono tanto gli episodi in sé che appassionano ma le reazioni dei proprietari. Ovvero, il poter mandare bellamente a cagare il cliente maleducato, oppure chiamare la guardia e sbatterlo fuori dal negozio in quanto ha esagerato con imprecazioni e minacce, o insultarlo quando alza troppo la voce, o dargli apertamente dell’imbecille quando dimostra a tutti gli effetti di esserlo. Insomma tutte cose che il commesso medio italiano non può fare al cliente, soprattutto se non è lui il proprietario del negozio ma solo un dipendente.
Ma anche per chi commesso non è, questo programma può piacere. Perché in fondo dipinge una realtà. Certo, si dice che alcune cose siano state scritte a tavolino (tipo il malore di Les o il furto in negozio o i vari licenziamenti ‘epocali’ dello staff) ma certi episodi minori, certi clienti fuori di testa, certe minacce o offese gridate dall’imbecille di turno sono realistici. O quanto meno, il commesso medio sa che accadono in un negozio. Più di quanto si vorrebbe.

 
Ps
Hanno fatto anche una parodia napoletana: www.youtube.com/watch?v=xF7EyOeW20w
E una romana: www.youtube.com/watch?v=i_6Z5AdONBg
Ma se cercate sul tubo troverete parecchie parodie spassosissime.

lunedì 6 luglio 2015

Il vincitore è solo – Paulo Coelho


Ci sono libri che di primo acchito non mi convincono, di quelli che appena leggo la trama penso ‘Ma stiamo scherzando?  Ma che trama da sottosviluppati celebrolesi ha partorito sto tipo’. Quindi li accantono, anche se seguo l’autore da anni e ‘ci sono affezionato’ (un po’ come chi segue Vasco che, parliamone, non è più quello di una volta. Ma lo si ascolta con la speranza che dopo tanti album da mettere al rogo, magari uno buono riesce ancora a tirarlo fuori… Sì, aspetta e spera…). Ecco perché ho fatto un fioretto: comprare tali libri solo se li trovo scontati o usati.
È il caso di questo libro di Coelho.
La storia è fuori dagli standard narrativi dell’autore: Igor, un uomo ricco, è stato mollato dalla moglie. Così lui segue lei e il suo nuovo compagno fino a Cannes, durante il Festival. In questo contesto il protagonista incomincia ad uccidere alcune persone per riconquistare la sua ex moglie.
Questa trama viene usata come scusa per presentare il ‘dietro le quinte’ della Moda, dei ricchi, di ciò che sta nasconde il successo e la ricerca di esso, attraverso la prospettiva e le riflessioni non solo del protagonista e di sua moglie ma anche del nuovo compagno di quest’ultima, delle vittime di Igor e di chi indaga per scoprire chi è l’assassino (mi aspettavo che introducesse tra i personaggi anche un cane, una pianta secolare o una supposta, con le loro disertazioni filosofiche sulla vita e le difficoltà della vita (la supposta ne ha da raccontare…) ma per fortuna si è fermato agli umani).
Con così tanti personaggi il libro raggiunge quota 445 pagine.
Tante pagine che stupiscono per come vengono mostrate le verità scomode sul mondo della moda e dei potenti della terra, della cinematografia e sulle dinamiche su cui conquistare notorietà e visibilità. Che se già ti fa cagare lo show business e le mode, questo libro dà loro il colpo di grazia.
Questo conduce ad un conflitto: da una parte si resta conquistati da come l’autore racconti la realtà di certi ambienti in modo chiaro e schietto, senza peli sulla lingua (anche se, a fare i birichini e i precisini, non possiamo non ammettere che anche lui ne fa parte. Voglio dire: sputa nel piatto dove mangia). Dall’altra però lascia perplessi su come un Coelho che ha scritto ‘L’alchimista’ (e scusate se è poco) abbia investito tempo, energie e fantasia per questo libro. Passiamo dal misticismo e spiritualità a moda, droga, omicidi, violenza, superficialità estrema, esibizionismo imbarazzante, azioni estreme e palesemente deviate.
In più occasione ho pensato che l’avesse scritto un ghost writer (uno di quei tipi pagati per scrivere libri su cui verrà apportata la natività di un autore famoso. Ce ne sono tanti, anche italiani…). Ma vabbè, se un libro in ultima analisi è bello chi se ne frega di chi l’ha scritto, no?
No.
Perché da Coelho mi aspetto profondità e spiritualità. E la trovo in questo libro. Tra uno scontro di aspiranti attrici a suon di atteggiamenti mignotteggianti  e uno stilista per nulla gay (già per questo si capisce che è un romanzo, con una strizzatina d’occhio alla fantascienza pura), tra assassini in versione Kenshiro e indagini condotto con la professionalità di una Giovane Marmotta, l’auto ci butta dentro una perla di saggezza, un ragionamento introspettivo di alto livello, un commento da vecchio saggio. Che per la cronaca: io ce lo vedo lo scrittore lì intento sulla tastiera a scrivere il suo romanzo-inno alla superficialità. Ogni tanto alza la testa, si guarda nello specchio e ha un’illuminazione: ‘Cazzo, ma io sono Coelho!!!’. E allora vai di mezzo paragrafo di saggezza. Ma ecco che il lato oscuro incombe fino a prendere il sopravvento e riportare l’autore a continuare con la sua trama insolita.
Tutto questo per dire che, considerato questi elementi, vale la pena comprarlo?
Dipende: se cercate un libro ‘a l’Alchimista’ allora no.
Se volete leggere un libro che parla di quanto la società è alla deriva, allora può piacere.
Personalmente, sarei rimasto deluso se avessi speso 19 euro per un libro con una trama del genere (rapportato sempre all’aspettativa che uno ha su un autore, ovviamente). Già 5 euro ci possono stare, dai.

giovedì 2 luglio 2015

D.E.A. (Dieta Energia Alta) di Marco Urbisci


Ci sono libri talmente singolari, di nicchia, che i più non considerano. Vanno oltre, preferendo un best seller dalla qualità altamente discutibile (da cui traggono film ancora più discutibili; vedi quel condensato di banalità di ’50 sfumature di puttanate di grigio’).
Eppure sono proprio questi libri ‘di nicchia’, sottovalutati, che possiedo del potenziale inaspettato.
Certo, bisogna essere anche mentalmente predisposti per apprezzarli dato che a volte trattano argomenti che cozzano con le proprie convinzioni (un libro sull’adorazione di Satana può essere interessante e coinvolgente quanto vuoi, ma se lo fai leggere ad un testimone di Geova, immagino che non venga apprezzato al meglio, no? Oppure uno può scrivere un libro di filosofia geniale, stupendo, illuminante, ma se lo legge un troglodita materialista ignorante, il massimo che ci si può aspettare da quest’ultimo è che alla quarta riga gli venga il mal di testa e decida di usare le pagine del libro per pulirsi quel meraviglioso deretano peloso con annesso ecosistema di pulci e zecche che si ritrova).
Tutta questa premessa per dire cosa? Che il libro di cui sto per fare la recensione è in commercio da tanto ma a me c’è voluto tempo per avvicinarmici in quanto ‘non ero pronto’. Per quale ragione? Perché tratta di un argomento quanto meno inusuale.
Ma una volta pronto… Apriti cielo!
Negli ultimi anni si è parlato sempre più spesso di vegetariani e di vegani. I libri di ricette si stanno moltiplicando (seguendo la moda dei programmi/reality che insegnano come cucinare una suola della scarpa accompagnata da un sugo di noci moscato e zenzero per renderla più commestibile ed invitante) e i movimenti ‘Non mangiare un agnello. Piuttosto metti tua suocera sulla griglia che non avrà certo un buon sapore ma almeno ti sei levato un peso dallo stomaco’ sono aumentati esponenzialmente. Ma si parla poco dello step successivo: il fruttarismo. Una scelta per tanti estrema, incomprensibile e tutt’ora misteriosa, tant’è che esistono pochi libri in commercio (o al massimo ci fanno un accenno ironico e fugace i libri di alimentazione).
Ma ecco che giunge in nostro aiuto Marco Urbisci, un uomo molto simpatico e disponibile che ha dedicato anni di studio sull’argomento e c’ha scritto pure un libro. Ed è pure un bel libro. Anzi ottimo.
Lo dice uno che nella sua vita ha letto tanti libri di alimentazione, passando dalla dieta carnivora a quella vegetariana alla vegana ed infine alla fruttariana. Quindi nel mio piccolo penso di riuscire a distinguere un libro campato per aria da uno realizzato dopo ricerche accurate e studi mirati.
E ‘D.E.A. (Dieta Energia Alta)’ è uno di quest’ultimi.
Quasi 380 pagine (che c’avrà da scrivere in tutte ‘ste pagine? Tanta roba e pure interessante!) ricche di curiosità, informazioni scientifiche, citazioni di illustri dietologi e dottori, consigli pratici, e chi più ne ha più ne metta.
È un libro autoprodotto ma non per questo pecca dell’assenza di un editing: ogni sua parte è chiara, concisa, con un linguaggio a misura di italiano medio, con errori grammaticali quasi inesistenti (ma anche se ci fossero, chi se ne frega: ciò he conta è il contenuto. E su questo, nulla da dire).
Marco racconta come i suoi problemi fisici siano stati superati attraverso una dieta mirata, di sola frutta e verdura.
Poi passa a descrivere su quali basi alimentari e chimiche si fonda il concetto che l’uomo ha bisogno di sola frutta per vivere. Ed infine analizza quanto altri tipi di dieta siano nocivi all’organismo. Nell’ultima parte dà consigli pratici su chi decide di compiere questa scelta.
Insomma, un libro completo che abbraccia ogni aspetto del fruttarismo, che lo sviscera e ne analizza le caratteristiche (attingendo ad illustri dottori che in passato sono giunti a conclusioni tanto stupefacenti quanto sottovalutate. Avete presente? Quelli che sono stati presi per il culo per le loro trovate fuori dagli schemi e solo quando sono passati a miglior vita si è capito il loro genio? Che già li vedo reincarnarsi in un piccione solo per defecare sulla testa di chi li ha presi in giro per anni. E vedi che la reincarnazione a volte serve?).
Questo è uno di quei libri che dovrebbero leggere tutti, a prescindere dalla propria dieta, inclinazione alimentare e convinzioni. Lo si può leggere anche solo per avere un nuovo punto di vista sull’argomento alimentazione, per porsi delle domande (a cui Marco dà delle risposte) e per prendere in considerazione che forse, anche se gran parte del mondo è carnivoro non significa che sia la strada più giusta per nutrire il proprio corpo.
Il libro costa 16.50€. Personalmente, da lettore divoratore di libri, posso assicurarvi che sono soldi ben spesi. Senza ombra di dubbio.
Trovate anche una versione epub a 9.99€.
Consiglio però quella cartacea perché, se siete di quelli che sottolineano, ne avete di pezzi da segnare!!
E ribadisco: soldi ben spesi.