mercoledì 24 febbraio 2016

Frozen, il film


Che dire di questo film della Disney? Ho resistito dieci minuti, poi ho ceduto al lato oscuro del tasto Stop.
Nulla da dire sull’animazione: spettacolare come sempre.
È questo brutto vizio di far cantare la protagonista in ogni situazione che mi sta sul gozzo.
Voglio dire, va bene una canzoncina ogni tanto (vuoi mettere quella del Re Leone all’inizio del film? Quella sì che spaccava di brutto). Ma poi dateci tregua!
Ogni passo della tipa era una canzone. Si lava i denti? Vai di canzone. Corre nel corridoio? Via ad un’altra canzone. Va in bagno e intasa il water? E facciamoci su una canzone. E che palle!!!!
Lo ammetto: non posso farci una recensione completa perché non l’ho visto.
Ma ho chiesto in giro e aimè il commento era unanime: graficamente è una meraviglia ma le canzoni rovinano tutto.
Forse va bene per una bambina di 6 anni. Già un bambino storce il naso. Un adulto torna in biglietteria a pretendere i soldi indietro sentendosi truffato.
È un film per bambine. Ne più ne meno.
Quindi fatelo vedere a vostra figlia. E mentre lei se lo gusta con sguardo incantato e sognatore, voi andate a fare l’amore in camera da letto. Anche se avere come sottofondo certe canzoni non è il massimo per stimolare la libido.

Eppure qualcosa di buono è nato da questo film… Ma ve lo dirò nel prossimo post…

lunedì 15 febbraio 2016

‘Mare mosso bandiera rossa’ di Paolo Cevoli

 
 
Ci sono dei libri che faccio fatica a finire. Mi è capitato poche volte e per svariati motivi. Men che meno leggendo un libro comico (mi aspetto anzi che scorra via liscio e leggero come un bicchiere di spremuta all’arancia).
Invece non è stato così per questo libro di Paolo Cevoli.Il romanzo è la storia dell’assessore che ha reso Paolo famoso in tutta Italia, attraverso Zelig.
Ve lo ricordate? Quello di ‘Fatti, non pugnette’, quello che farfugliava frasi senza senso, storpiando
le parole e interrompendo il discorso di punto in bianco.
Ecco, proprio lui che faceva ridere in questa versione così caricaturale di un politico.
Paolo ha realizzato un racconto (di ben 219 pagine) di questo personaggio alle prese con i classici problemi da assessore di un paesino di provincia.
L’idea è anche carina e il modo in cui è scritto (ha messo su carta quel modo farfugliante in cui si esprimeva sul palco) merita un encomio per la capacità di sfornare pagine su pagine mantenendo costante quello stile (che, ammettiamolo, è da fuori di testa. Voglio dire, ci vuole una gran testa per realizzare 200 pagine inventandosi parole strambe, troncando i discorsi sul più bello e creando frasi senza senso non solo nei dialoghi ma anche nelle descrizioni dei luoghi e delle azioni di tutti i personaggi… Non so se lui abbia scritto il libro prima nell’italiano corrente e poi ha modifica tutto in linguaggio-assessore o se l’ha realizzato direttamente così. Certo è che tanto di cappello alla sua creatività).
Ma è proprio questo scrivere così al di fuori dai canoni la sua maggior pecca: dopo poco diventa pesante la lettura, dato che è un continuo scervellarsi per capire cosa intende l’autore, per interpretare le parole ad ogni righe e il significato delle frasi senza capo né coda. È proprio questo che rallenta la lettura in modo impressionante, col ritmo che cade nel baratro.
Ecco perché dopo una cinquantina di pagine l’ho abbandonato (anche se a malincuore perché per principio cerco di finire ogni romanzo: ma per alcuni è una mission impossibile).
Mi era diventato veramente difficile, pesante, leggerlo.
Mi spiace, perché scrivere in quello stile denota genialità e una gran fantasia. È l’usare questo gergo da assessore provinciale analfabeta in ogni sua parte, dal dialogo alle descrizioni ai gesti e pensieri di ogni personaggio, a renderlo impegnativo nella lettura.
Non aiutano neppure le note a piè di pagina. Anzi, complicano il tutto perché non solo li si trova quando viene usata parola gergale o inventata di sana pianta ma anche su parole abituali (dandogli però una connotazione, a volte, simpatica… Però mettere due o tre note in ogni pagina rallenta oltre modo la lettura, soprattutto quando queste potrebbero essere anche evitate, dato che oltre a non fare ridere non hanno senso d’esistere).
Un buon compromesso, secondo me, sarebbe stato scrivere in un italiano corretto l’intera storia e lasciare solo i commenti e pensieri dell’assessore in versione analfabeta/ignorante. Ed ovviamente ridurre le note almeno della metà.
Un libro, in fondo, che aveva grandi potenzialità, che denota una mente fuori dall’ordinario (e fuori di testa) nello scrivere, ma che proprio perché così ‘oltre’ è di difficile lettura.
Peccato.