lunedì 6 luglio 2015

Il vincitore è solo – Paulo Coelho


Ci sono libri che di primo acchito non mi convincono, di quelli che appena leggo la trama penso ‘Ma stiamo scherzando?  Ma che trama da sottosviluppati celebrolesi ha partorito sto tipo’. Quindi li accantono, anche se seguo l’autore da anni e ‘ci sono affezionato’ (un po’ come chi segue Vasco che, parliamone, non è più quello di una volta. Ma lo si ascolta con la speranza che dopo tanti album da mettere al rogo, magari uno buono riesce ancora a tirarlo fuori… Sì, aspetta e spera…). Ecco perché ho fatto un fioretto: comprare tali libri solo se li trovo scontati o usati.
È il caso di questo libro di Coelho.
La storia è fuori dagli standard narrativi dell’autore: Igor, un uomo ricco, è stato mollato dalla moglie. Così lui segue lei e il suo nuovo compagno fino a Cannes, durante il Festival. In questo contesto il protagonista incomincia ad uccidere alcune persone per riconquistare la sua ex moglie.
Questa trama viene usata come scusa per presentare il ‘dietro le quinte’ della Moda, dei ricchi, di ciò che sta nasconde il successo e la ricerca di esso, attraverso la prospettiva e le riflessioni non solo del protagonista e di sua moglie ma anche del nuovo compagno di quest’ultima, delle vittime di Igor e di chi indaga per scoprire chi è l’assassino (mi aspettavo che introducesse tra i personaggi anche un cane, una pianta secolare o una supposta, con le loro disertazioni filosofiche sulla vita e le difficoltà della vita (la supposta ne ha da raccontare…) ma per fortuna si è fermato agli umani).
Con così tanti personaggi il libro raggiunge quota 445 pagine.
Tante pagine che stupiscono per come vengono mostrate le verità scomode sul mondo della moda e dei potenti della terra, della cinematografia e sulle dinamiche su cui conquistare notorietà e visibilità. Che se già ti fa cagare lo show business e le mode, questo libro dà loro il colpo di grazia.
Questo conduce ad un conflitto: da una parte si resta conquistati da come l’autore racconti la realtà di certi ambienti in modo chiaro e schietto, senza peli sulla lingua (anche se, a fare i birichini e i precisini, non possiamo non ammettere che anche lui ne fa parte. Voglio dire: sputa nel piatto dove mangia). Dall’altra però lascia perplessi su come un Coelho che ha scritto ‘L’alchimista’ (e scusate se è poco) abbia investito tempo, energie e fantasia per questo libro. Passiamo dal misticismo e spiritualità a moda, droga, omicidi, violenza, superficialità estrema, esibizionismo imbarazzante, azioni estreme e palesemente deviate.
In più occasione ho pensato che l’avesse scritto un ghost writer (uno di quei tipi pagati per scrivere libri su cui verrà apportata la natività di un autore famoso. Ce ne sono tanti, anche italiani…). Ma vabbè, se un libro in ultima analisi è bello chi se ne frega di chi l’ha scritto, no?
No.
Perché da Coelho mi aspetto profondità e spiritualità. E la trovo in questo libro. Tra uno scontro di aspiranti attrici a suon di atteggiamenti mignotteggianti  e uno stilista per nulla gay (già per questo si capisce che è un romanzo, con una strizzatina d’occhio alla fantascienza pura), tra assassini in versione Kenshiro e indagini condotto con la professionalità di una Giovane Marmotta, l’auto ci butta dentro una perla di saggezza, un ragionamento introspettivo di alto livello, un commento da vecchio saggio. Che per la cronaca: io ce lo vedo lo scrittore lì intento sulla tastiera a scrivere il suo romanzo-inno alla superficialità. Ogni tanto alza la testa, si guarda nello specchio e ha un’illuminazione: ‘Cazzo, ma io sono Coelho!!!’. E allora vai di mezzo paragrafo di saggezza. Ma ecco che il lato oscuro incombe fino a prendere il sopravvento e riportare l’autore a continuare con la sua trama insolita.
Tutto questo per dire che, considerato questi elementi, vale la pena comprarlo?
Dipende: se cercate un libro ‘a l’Alchimista’ allora no.
Se volete leggere un libro che parla di quanto la società è alla deriva, allora può piacere.
Personalmente, sarei rimasto deluso se avessi speso 19 euro per un libro con una trama del genere (rapportato sempre all’aspettativa che uno ha su un autore, ovviamente). Già 5 euro ci possono stare, dai.

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