mercoledì 30 marzo 2016

Dio su un Harley di Joan Brady


L’avevo letto anni addietro. Me lo ricordavo come un libro leggero ma con qualche concetto di help-self che non guasta mai. Ed essendo pure un libro veloce da lettere  (143 pagine di storia che scorre via veloce), perché non dargli un’altra lettura, ora che sono passati anni e che dovrei essere più maturo e comprendere meglio certi concetti (ma a chi voglio darla a bere?!?!?)?
Così vai di lettura.
Partiamo dai pro: è un libro leggero, di quelli che puoi leggere sotto l’ombrellone. Ci sono concetti profondi ma spiegati in modo molto semplice e veloce. Non sta a dilungarsi su teorie metafisiche, su dinamiche psicologiche spiegate quasi fosse Freud davanti ad un’aula di neo-laureandi, su questioni teologiche che farebbero imbestialire i bigotti e venire il mal di testa a chi usa tutta le sue capacità intellettive per capire chi vincerà lo scudetto quest’anno.
La trama scorre rapida e indolore, dando spessore allo stato d’animo della protagonista e alla sua evoluzione che la porta da donna sottomessa al sistema e ai propri istinti di principessa sul senza pisello cresciuta a principe azzurro e a ‘vissero felici e contenti’ a diventare una donna libera, serena ed in pace con il mondo.
Dio è nella classica versione new age, molto hippy e figlio dei fiori. E questo piace e fa sorridere.
Il libro dà dei consigli spicci su come migliorare la propria vita (pochi ma buoni) e fregarsene dei pareri degli altri (non per niente il libro sub-comunica che fai presto a dire ‘ragiono con la mia testa’, ma se segui ogni nuova moda che esce, sei parte del sistema più di quanto immagini).
Ciò che mi ha fatto storcere il naso? È comunque un concepito da una donna e sostanzialmente scritto per le donne. Quindi abbondantemente sentimentale, che ruota più che altro sulle pene d’ammmmore della protagonista e su come uscirne, su come deve essere meno donna-fatale e più donna-genuina. Se da una parte non posso dire nulla perché il tutto è funzionale alla storia, dall’altra (da uomo con peli sul petto e barba incolta) perde punti in quanto ricorda un po’ un romanzetto rosa.
Questo penalizza il libro?
No, perché al di là di questo ‘limite’ c’è una bella morale di fondo, dei buoni consigli da utilizzare, un Dio stiloso che non guasta mai e una lettura piacevole ma al tempo stesso costruttiva.
Si può leggere a vari livelli: per chi vuole leggerlo ad un livello superficiale è una storiella leggera con qualche trovata simpatica mentre per chi vuole cercare piccole e grandi verità sulla vita è un libro profondo e acuto.  Ma vi avviso, per chi s’immagina Dio/Gesù ancora come un uomo umile che lava i piedi, fa miracoli meglio di Houdini e resuscita i morti senza essere lo sceneggiatore di Walking Dead è un libro da ‘vade retro Satana’.

mercoledì 23 marzo 2016

Frozen - la colonna sonora


Come annunciato nel post precedente, Frozen ha portato sì tante persone allo sbadiglio facile e all’ira gratuita per i soldi del biglietto buttati nel cesso, ma una cosa buona l’ha fatta: la colonna sonora.
… No, non sto parlando di tutta la colonna ma della canzone ‘ufficiale’: Let it go.
E no, non quella in inglese ma una versione che a me ha intrippato non poco: è la versione mixata con tutte le cantanti dei diversi paesi in cui è stato trasmesso il film (ok, non tutte. C’è una versione extended a 42 lingue, rintracciabile sempre su youtube).
Sarà che a me piace ascoltare la musica di tutto il mondo e non mi accontento di quelle che le grandi major discografiche americane ci propinano, fatto sta che questa versione multietnica mi ha emozionato.
Oltretutto, ciliegina sulla torta, a cantarla sono delle gran tope professioniste mica da ridere.
Certo, a ben guardare:
-la tedesca sembra incazzata nera. Secondo me nel fuori-onda si è messa a mordere il microfono per sfogare la rabbia.
-la polacca ha la pettinatura di un yorkshire: si vede che credeva d’interpretare una canzone di Lilly il vagabondo.
-la serba si è confusa: credeva di dover recitare in un film sadomaso. La vedrei bene con frustino e abbigliamento tassativamente in lattice.
-la portoghese vince il premio come miglior interpretazione. Sembra così convinta di essere la protagonista che è quasi un peccato disilluderla. Anche perché l’unico modo che ha per ‘congelare’ un uomo è dirgli che lui è padre del bambino che lei ha in grembo.
-la belga c’ha preso gusto invece. L’ultimo suo sguardo sembra dire: ‘Mò vengo e faccio il culo a tutti’.
-le spagnole? Beh, io sono di parte. A me sentire una ragazza parlare in spagnolo fa sesso. Non so, si vede che in un’altra vita ero un Don Giovanni spagnolo… Peccato che la spagnola è vestita da scolaretta anni ’30 e la catalana da boscaiola.
-in compenso la giapponese la trovo incantevole (e la sua lingua sta proprio bene con questa canzone).
-e l’italiana? Mah, diciamo che l’erba del vicino è sempre più verde. Ma anche lei tutto sommato fa la sua porca figura, dai.
Infine, menzione speciale per l’ungherese. Fa venir voglia di mollare tutto e trasferirsi in Ungheria. L’avrei premiata come miglior cantante anche se fosse stata muta…

mercoledì 24 febbraio 2016

Frozen, il film


Che dire di questo film della Disney? Ho resistito dieci minuti, poi ho ceduto al lato oscuro del tasto Stop.
Nulla da dire sull’animazione: spettacolare come sempre.
È questo brutto vizio di far cantare la protagonista in ogni situazione che mi sta sul gozzo.
Voglio dire, va bene una canzoncina ogni tanto (vuoi mettere quella del Re Leone all’inizio del film? Quella sì che spaccava di brutto). Ma poi dateci tregua!
Ogni passo della tipa era una canzone. Si lava i denti? Vai di canzone. Corre nel corridoio? Via ad un’altra canzone. Va in bagno e intasa il water? E facciamoci su una canzone. E che palle!!!!
Lo ammetto: non posso farci una recensione completa perché non l’ho visto.
Ma ho chiesto in giro e aimè il commento era unanime: graficamente è una meraviglia ma le canzoni rovinano tutto.
Forse va bene per una bambina di 6 anni. Già un bambino storce il naso. Un adulto torna in biglietteria a pretendere i soldi indietro sentendosi truffato.
È un film per bambine. Ne più ne meno.
Quindi fatelo vedere a vostra figlia. E mentre lei se lo gusta con sguardo incantato e sognatore, voi andate a fare l’amore in camera da letto. Anche se avere come sottofondo certe canzoni non è il massimo per stimolare la libido.

Eppure qualcosa di buono è nato da questo film… Ma ve lo dirò nel prossimo post…

lunedì 15 febbraio 2016

‘Mare mosso bandiera rossa’ di Paolo Cevoli

 
 
Ci sono dei libri che faccio fatica a finire. Mi è capitato poche volte e per svariati motivi. Men che meno leggendo un libro comico (mi aspetto anzi che scorra via liscio e leggero come un bicchiere di spremuta all’arancia).
Invece non è stato così per questo libro di Paolo Cevoli.Il romanzo è la storia dell’assessore che ha reso Paolo famoso in tutta Italia, attraverso Zelig.
Ve lo ricordate? Quello di ‘Fatti, non pugnette’, quello che farfugliava frasi senza senso, storpiando
le parole e interrompendo il discorso di punto in bianco.
Ecco, proprio lui che faceva ridere in questa versione così caricaturale di un politico.
Paolo ha realizzato un racconto (di ben 219 pagine) di questo personaggio alle prese con i classici problemi da assessore di un paesino di provincia.
L’idea è anche carina e il modo in cui è scritto (ha messo su carta quel modo farfugliante in cui si esprimeva sul palco) merita un encomio per la capacità di sfornare pagine su pagine mantenendo costante quello stile (che, ammettiamolo, è da fuori di testa. Voglio dire, ci vuole una gran testa per realizzare 200 pagine inventandosi parole strambe, troncando i discorsi sul più bello e creando frasi senza senso non solo nei dialoghi ma anche nelle descrizioni dei luoghi e delle azioni di tutti i personaggi… Non so se lui abbia scritto il libro prima nell’italiano corrente e poi ha modifica tutto in linguaggio-assessore o se l’ha realizzato direttamente così. Certo è che tanto di cappello alla sua creatività).
Ma è proprio questo scrivere così al di fuori dai canoni la sua maggior pecca: dopo poco diventa pesante la lettura, dato che è un continuo scervellarsi per capire cosa intende l’autore, per interpretare le parole ad ogni righe e il significato delle frasi senza capo né coda. È proprio questo che rallenta la lettura in modo impressionante, col ritmo che cade nel baratro.
Ecco perché dopo una cinquantina di pagine l’ho abbandonato (anche se a malincuore perché per principio cerco di finire ogni romanzo: ma per alcuni è una mission impossibile).
Mi era diventato veramente difficile, pesante, leggerlo.
Mi spiace, perché scrivere in quello stile denota genialità e una gran fantasia. È l’usare questo gergo da assessore provinciale analfabeta in ogni sua parte, dal dialogo alle descrizioni ai gesti e pensieri di ogni personaggio, a renderlo impegnativo nella lettura.
Non aiutano neppure le note a piè di pagina. Anzi, complicano il tutto perché non solo li si trova quando viene usata parola gergale o inventata di sana pianta ma anche su parole abituali (dandogli però una connotazione, a volte, simpatica… Però mettere due o tre note in ogni pagina rallenta oltre modo la lettura, soprattutto quando queste potrebbero essere anche evitate, dato che oltre a non fare ridere non hanno senso d’esistere).
Un buon compromesso, secondo me, sarebbe stato scrivere in un italiano corretto l’intera storia e lasciare solo i commenti e pensieri dell’assessore in versione analfabeta/ignorante. Ed ovviamente ridurre le note almeno della metà.
Un libro, in fondo, che aveva grandi potenzialità, che denota una mente fuori dall’ordinario (e fuori di testa) nello scrivere, ma che proprio perché così ‘oltre’ è di difficile lettura.
Peccato.

domenica 17 gennaio 2016

E' uscito il 17° numero di Zine!

Ebbene sì, siamo giunti al 17° numero di Zine!, la rivista di comics più tosta e gratuita del web!
Cos'aspettate ad andare a leggerla?
Basta seguire il link http://www.fumettisulweb.it/zine-n-17/
Ovviamente partecipo anch'io con un racconto breve ed un'intervista al direttore di orgoglionerd.it.
Buon divertimento!!!!

giovedì 7 gennaio 2016

Snoopy and friends – il film dei Peanuts


Che dire? Vado controcorrente.
O meglio, guardo il film con l’ottica di chi ha letto poco e niente delle strisce dei Peanuts, quindi ho una visione più critica e meno nostalgica-romantica.
Partiamo? E andiamo!
Sostanzialmente è un film per bambini ma che strizza l’occhiolino all’adulto che si identifica con almeno uno dei suoi protagonisti (specialmente in Charlie: un bambino con un senso di rivalsa verso quel mondo che lo deride e sottovaluta… Chi non ha provato i suoi stessi sentimenti almeno una volta?).
Poi ci sono i tanti rimandi alle strisce e a quelle piccole perle che caratterizzano ogni personaggi (la mitica coperta di Linus, il pianoforte di Schroeder ma soprattutto gli scontri tra Snoopy e il Barone Rosso).
Senza contare che il tutto è stato disegnato in modo adorabile e dai colori tenui, impreziosito da alcune trovate simpatiche (tipo i caratteri tipografici sopra la testa di Snoopy mentre scrive a macchina).
Quindi mi è piaciuto?
No. Perché, oltre a essere un film un po’ troppo per bambini (non c’è quella profondità esistenziale e malinconica che avrebbe conquistato, e fatto riflettere, gli adulti), sembra una puntata qualsiasi di una serie animata.
Non so, è come se non fosse un lungometraggio con una trama solida e completa, una trama che spicca su altre produzioni, ma che abbiano preso una puntata qualsiasi di un cartone e l’hanno diluita in un’ora e mezza.
Senza contare che gli scontri aerei di Snoopy, pur essendo visivamente piacevoli e ricchi di azione, sono un po’ troppo presenti (risultando alla lunga noiosi): rubano la scena a quella che dovrebbe essere la storia portante. Mi ha dato l’impressione che avessero scritto la storia principale, poi hanno visto che era troppo breve e allora l’hanno riempita di Snoopy vs Barone Rosso.
Ergo, un film che sicuramente piacerà ai bambini, che farà sorridere i nostalgici ma che, ad un neofita delle strisce non dirà niente.

lunedì 28 dicembre 2015

Everest


Partiamo dalle conclusioni (oggi mi gira così, va).
È un film che terrei nella mia videoteca personale? No.
Quindi è brutto? No.
Allora è bello? Ni.
Si lascia guardare? Certo, anche se deve piacere il genere (drammatico) e/o devi adorare la montagna.
Chiuse le conclusioni, passiamo alla recensione vera e propria.
‘Everest’ è un film tratto da una storia vera.
Trama: cavalcando l’onda dei viaggi-avventura, ecco che si aprono le frontiere nello scalare l’Everest anche ai non professionisti (basta avere i soldi e si arriva ovunque, no?).
È così che alcuni alpinisti (con  schiavi sottopagati uomini del luogo addetti al preparare il passaggio per i paganti) accompagnano nella scalata un gruppo di turisti, tra cui una donna (con due palle più grosse di quelle di Mike Tyson quando ha vinto il titolo mondiale di boxe). Peccato che durante la scalata una tormenta investe i nostri sfigati prodi avventurieri, con tragiche conseguenze per alcuni di loro.
Ci s’immedesima subito nei protagonisti e nel loro soccombere dinnanzi alla Natura (è lei che ne esce vincitrice, pur non vedendola salire sul podio… Hanno tagliato quello spezzone di film in quanto troppo strappalacrime). Pensare solo di essere a migliaia di metri d’altezza con nessuno che ti viene a salvare e con la neve che lentamente ti gela il corpo, fa rabbrividire (sempre per restare in tema…).
È palese l’attacco del regista a questa filosofia dei viaggi organizzati no-limits (anche se, ammettiamolo, vuoi mettere riunirsi dopo le ferie con gli amici e mentre gli altri se ne escono con ‘Io sono stato ad Ibiza’, ‘Io a Londra’, ‘Io a New York’, salti su e te ne esci con un bel ‘Io ho scalato l’Everest, SFIGATI!!!!’). Ma questo passa in secondo piano davanti alla drammaticità dell’intera vicenda e al perenne dubbio: ‘Chi morirà? Chi sopravvivrà? Scommettiamo un pacchetto di sigarette?’.
C’è da una parte l’aspetto eroico di chi vuole raggiungere la vetta e sentirsi padrone del mondo mentre dall’altro la natura che ride di questa patetica onnipotenza gridando loro un bel ‘Suuuuuca babbei!’.
Il film può essere diviso in due parte: la prima è più una presentazione dei personaggi e una preparazione all’impresa mentre la seconda è un ‘La morte ti ha quasi raggiunto: sei fottuto’. Entrambe hanno una loro ragione di esistere e realizzate in modo tale da non annoiare mai.
Non c’è nessuna storia d’ammmmmmore a rompere le scatole (ne uomini alla Brad Pitt senza magliette e con gli addominali al vento presenti solo per far sbavare le spettatrici), o comunque presentata in modo talmente marginale da non far venire il latte alle ginocchia agli spettatori. C’è solo la natura e l’uomo che vuole dominarla con frustino, completo sadomaso di lattice e vaselina pronta all’uso.
‘Ma allora se ti è piaciuto così tanto perché non entra nella tua videoteca?’, vi chiederete voi, baldi giovani lettori.
Perché, per quanto l’abbia apprezzato, trovo sia uno di quei film che si guardano una volta sola. Una seconda sarebbe eccessiva, almeno per me, estimatore di Marvel e di American Pie (nessuno è perfetto, no?).
Ergo, guardatelo perché sicuramente merita più di tanti altri film realizzati in questi mesi. E poi si vedrà.