Ci sono dei libri che faccio fatica a finire. Mi è
capitato poche volte e per svariati motivi. Men che meno leggendo un libro comico
(mi aspetto anzi che scorra via liscio e leggero come un bicchiere di spremuta
all’arancia).
Invece non è stato così per questo libro di Paolo Cevoli.Il romanzo è la storia dell’assessore che ha reso Paolo famoso
in tutta Italia, attraverso Zelig.
Ve lo ricordate? Quello di ‘Fatti, non pugnette’, quello
che farfugliava frasi senza senso, storpiando
le parole e interrompendo il discorso di punto in bianco.
le parole e interrompendo il discorso di punto in bianco.
Ecco, proprio lui che faceva ridere in questa versione
così caricaturale di un politico.
Paolo ha realizzato un racconto (di ben 219 pagine) di
questo personaggio alle prese con i classici problemi da assessore di un
paesino di provincia.
L’idea è anche carina e il modo in cui è scritto (ha messo
su carta quel modo farfugliante in cui si esprimeva sul palco) merita un
encomio per la capacità di sfornare pagine su pagine mantenendo costante quello
stile (che, ammettiamolo, è da fuori di testa. Voglio dire, ci vuole una gran
testa per realizzare 200 pagine inventandosi parole strambe, troncando i discorsi
sul più bello e creando frasi senza senso non solo nei dialoghi ma anche nelle
descrizioni dei luoghi e delle azioni di tutti i personaggi… Non so se lui abbia
scritto il libro prima nell’italiano corrente e poi ha modifica tutto in linguaggio-assessore
o se l’ha realizzato direttamente così. Certo è che tanto di cappello alla sua
creatività).
Ma è proprio questo scrivere così al di fuori dai canoni
la sua maggior pecca: dopo poco diventa pesante la lettura, dato che è un
continuo scervellarsi per capire cosa intende l’autore, per interpretare le
parole ad ogni righe e il significato delle frasi senza capo né coda. È proprio
questo che rallenta la lettura in modo impressionante, col ritmo che cade nel
baratro.
Ecco perché dopo una cinquantina di pagine l’ho abbandonato
(anche se a malincuore perché per principio cerco di finire ogni romanzo: ma
per alcuni è una mission impossibile).
Mi era diventato veramente difficile, pesante, leggerlo.
Mi spiace, perché scrivere in quello stile denota
genialità e una gran fantasia. È l’usare questo gergo da assessore provinciale
analfabeta in ogni sua parte, dal dialogo alle descrizioni ai gesti e pensieri
di ogni personaggio, a renderlo impegnativo nella lettura.
Non aiutano neppure le note a piè di pagina. Anzi,
complicano il tutto perché non solo li si trova quando viene usata parola
gergale o inventata di sana pianta ma anche su parole abituali (dandogli però
una connotazione, a volte, simpatica… Però mettere due o tre note in ogni
pagina rallenta oltre modo la lettura, soprattutto quando queste potrebbero
essere anche evitate, dato che oltre a non fare ridere non hanno senso
d’esistere).
Un buon compromesso, secondo me, sarebbe stato scrivere
in un italiano corretto l’intera storia e lasciare solo i commenti e pensieri
dell’assessore in versione analfabeta/ignorante. Ed ovviamente ridurre le note almeno
della metà.
Un libro, in fondo, che aveva grandi potenzialità, che
denota una mente fuori dall’ordinario (e fuori di testa) nello scrivere, ma che
proprio perché così ‘oltre’ è di difficile lettura.
Peccato.
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